da sinistra, Nando dalla Chiesa e Attilio Bolzoni – foto di Rachele Dalla Savina
di Francesco Toto

È il 29 Luglio, è l’ultimo giorno di formazione al raduno. Attilio Bolzoni è un uomo come tutti noi, come noi attanagliato dall’estenuante afa dell’estate laziale, ad esempio. Ma per tutti noi non è solo un uomo, per tutti noi, la ”meglio gioventù”, Attilio è una finestra nel tempo.
Attilio, con la sua cronaca degli anni ‘80-’90, quelli che furono per lui gli anni del “giornalismo impegnato e del fronte sotto casa” (ovvero la martoriata Palermo), lascia trasparire una giovinezza mai invecchiata, una voglia di lottare che non si è spenta dopo anni di lavoro e di delusioni da parte del suo paese. Attilio ci racconta quegli anni attraverso la sua vita di giornalista: e noi non potremmo desiderare nulla di meglio.

L’argomento del suo intervento è la cosiddetta Trattativa Stato-Mafia, la trattativa di cui oggi in Parlamento tutti negano l’esistenza, proprio come anni fa negavano l’esistenza della mafia stessa. Bolzoni ha un modo diretto di parlare e ci racconta quello che pensa senza fare sconti a nessuno, proprio come un giornalista dovrebbe fare: «La Trattativa esiste, ed esiste da decenni». Adduce anche svariate prove a dimostrazione della sua verità. Come, ad esempio, la fine della serie di stragi proprio dopo la morte dei giudici Falcone e Borsellino, il fatto che le loro morti fossero davvero troppo vicine nel tempo (solo 53 giorni) per gli standard del clan dei Corleonesi, la sparizione della fantomatica agendina rossa di Borsellino (che non avrebbe potuto essere prelevata se non da parte delle forze dell’ordine); per non parlare del fatto che praticamente ogni richiesta del famigerato papello (un foglio di carta con dodici richieste da parte di Cosa Nostra che fu consegnato all’ex sindaco corleonese di Palermo Vito Ciancimino dopo la morte di Falcone, ndr) si è trasformata in legge o quasi ad opera del governo Berlusconi… Attilio non ha dubbi su quello che dice e si abbandona a tutta una serie di elucubrazioni che paiono inequivocabili – delle quali parla più profusamente nel suo recente libro Uomini soli (Melampo Editore) -: ad esempio l’utilizzo di un esplosivo così complesso per la strage di Capaci, che la mafia, non possedendo le conoscenze balistiche necessarie, non avrebbe potuto fabbricare, dunque, se non fosse stata aiutata da parti deviate delle forze armate – e quindi dello Stato: «Non è un caso – aggiunge – se alla riapertura delle indagini eseguita nell’autunno del 2011 è stato subito attuato un depistaggio effettuato proprio dallo Stato per sfavorire le indagini in corso sull’argomento».
Bolzoni non ha alcun problema ad affermare che, con la presa di potere di Silvio Berlusconi, le stragi si spengono: «ma questo – sottolinea – è da vedere non come un merito dell’ex premier ma anzi come una prova del fatto che la mafia non ha più avuto bisogno di violenza per avere quello che voleva».

Il discorso di Attilio si protrae lentamente verso la sua esperienza e il suo mestiere. Ci racconta sia del passato che del presente, ci spiega come chi parla di mafia non sia mai stato (né è) ben visto e come la stampa odierna si palesi reticente a pubblicare articoli che trattano di mafia se non si parla di fatti di sangue.
Il nostro oratore finisce per raccontarci di come, all’età di ragazzo, finì in prigione lui stesso. Per quale motivo? Ma per un articolo, ovviamente. In quegli anni, accompagnato dall’amico e collega Saverio Lodato, pubblicò delle informazioni in un articolo su mafia, che teoricamente dovevano essere negli archivi della polizia: per questo fu condannato per violazione del segreto istruttorio e scontò un mese nel braccio di una vecchia prigione (dopo averne cambiate tre per ovvi motivi di sicurezza) e fu costretto a pagare una mora. Il prezzo della verità si dice.
«Esistono solo due tipi di giornalisti: quelli che scrivono per i lettori e quelli che scrivono per i potenti: noi sicuramente sappiamo da che parte sta Attilio Bolzoni e da che parte vogliamo stare tutti noi».

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