Quando la fortuna è un algoritmo

IMG_3478di Valentina Aiello

«La campagna Non t’azzardare, di cui questo è il secondo incontro – esordisce Eugenio Bonolis, referente di Libera VCO -, non deve essere considerata fine a se stessa». Infatti, il ciclo di eventi, volto alla sensibilizzazione ai rischi del gioco d’azzardo, non è altro che «il risultato di un percorso che dura già da un anno». Associazioni, parrocchie, gruppi Caritas e di volontariato, Comune, Prefettura, sindacati, Asl e altre realtà di Verbania hanno istituito, già dal 2012, un tavolo di lavoro per contrastare il drammatico incedere del fenomeno.
Lunedì, nella tanto sconosciuta quanto splendida chiesa di S.Marta, è stato il momento di confrontarsi con Mauro Croce, psicologo e responsabile del settore Educazione Sanitaria dell’Asl di Verbania. Presentando il suo libro sul tema, intitolato “Gioco d’azzardo – giovani e famiglie”, il dottor Croce ha spiegato quanto il fenomeno sia ormai diffusissimo e quanto nuoccia – economicamente e socialmente – al nostro Paese.

«Ma cosa avrebbe scatenato – domanda il moderatore Andrea Dallapina, direttore dell’Eco Risveglio – quest’esplosione del gioco, fino a manifestarne i sintomi di una dipendenza? Cosa è veramente cambiato in questi ultimi vent’anni?»
«Tutto è iniziato negli anni ’90 – afferma Croce – probabilmente nel 1992». È in questo periodo che per la prima volta i governi vedono nel gioco d’azzardo il business: nascono così, e si diffondono a macchia d’olio, i primi Bingo, le Video Lottery, il Video Poker, il Gratta&Vinci, il Lotto, le terribili slot machine e altre forme di gioco sempre più “veloce” e sempre più solitario. E aumentano, ovviamente, gli italiani che giocano e, quindi, le entrate. Eppure, controllando i bilanci, di queste solo una minima percentuale ingrossa le tasche dello Stato (il 7,9%, nel 2012): le destinazioni del restante sono la distribuzione (l’11% circa) e il payout (la vincita, l’80% circa).
Ad aggravare il quadro, si aggiungono le spese sanitarie di recupero e reintegrazione dei soggetti patologici (110 miliardi di euro nel 2013), oltre che gli “investimenti” diretti dei giocatori (95 miliardi di euro nel 2013).
Com’è possibile tutto questo? Al momento del boom, il gioco d’azzardo è stato detassato: esige una regolamentazione, come d’altronde hanno fatto numerosi Paesi europei, ma questo è un altro mistero grigio.

«E per quanto riguarda i giovani? Come – chiede Dallapina – si stanno rapportando con questo fenomeno?»
Visto che il bacino di giocatori adulti sta ormai attraversando tutte le classi sociali e soprattutto quelle più umili, purtroppo anche i giovani oggi ne sono spesso vittime. Giocano in modo compulsivo e affrettato su Internet, dove i controlli sono decisamente limitati e le “tentazioni” compaiono ovunque, attraverso le scritte luminose e sgargianti (come la classica “Ti piace vincere facile?”). Ma i giovani più seviziati da questo dramma sono i parenti stretti dei giocatori patologici: bambini e ragazzi figli di adulti devastati, cui spesso devono addirittura prestare dei soldi per risanare i debiti, giovani a cui viene negata l’infanzia e l’adolescenza.

«Quante sono, allora, le probabilità di una cura?».
La cura è possibilissima, spiega lo psicologo, il fatto è che le ricadute sono frequenti e molto facili. Per uscire dalla dipendenza il modo migliore è imparare a giocare “davvero”: prima di tutto trovarsi con altre persone, senza isolarsi davanti a una macchinetta, stabilirsi delle regole e rispettarle. Bisogna (re)imparare ad accettare le sconfitte e, cosa più importante di tutte, bisogna (re)imparare a chiedere aiuto.

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