…quando il lavoro fa bene all’anima.
La mattina del 13 maggio, Cascina Arzilla a Volvera, provincia di Torino, sta sotto un cielo che minaccia pioggia. Venti baldi giovani, incuranti delle nubi, sono in piedi davanti all’edificio attendono disposizioni per cominciare il lavoro. Sono alcuni ragazzi recentemente avvicinatisi all’attività del presidio Giorgio Ambrosoli di Verbania che dal giorno prima partecipano a un week-end di formazione e lavoro in due beni confiscati nella provincia di Torino: Cascina Arzilla, appunto, e Cascina Caccia.
Durante la prima giornata, che ha avuto un carattere più “teorico”, i ragazzi hanno potuto vedere come funziona Cascina Caccia, dove si produce miele e coltivano nocciole, e incontrare le persone che ci lavorano, facendosi raccontare la storia del posto, condividendo impressioni, storie e immagini e riflettendo insieme.
Il secondo giorno invece, spostatisi nell’altro bene, hanno potuto immediatamente darsi da fare, scovando piantine di lavanda sommerse dalle erbacce, domando la selva d’erba e imbiancando.
«Inizialmente non credevo che avremmo lavorato davvero. Ora sono molto soddisfatta, non dobbiamo accontentarci delle parole!», commenta Cècile, al termine della giornata. «La cosa migliore è vedere le cose che si fanno, incontrare le persone con le loro storie da raccontare come Simmaco, il giovane napoletano che abbiamo incontrato ieri sera a Cascina Caccia, che ci ha parlato della sua lotta per avere la possibilità di utilizzare il bene confiscato per la società e far si che non ricadesse nelle mani dei mafiosi», aggiunge Loris. «Io ho avvertito forte il senso di condivisione e collaborazione. Lavorare concretamente per un obiettivo comune è stimolante! Ci si sente subito accolti! Non si sentono nemmeno le differenze di età, si lavora tutti insieme, anche divertendosi», continuano Valentina e Alyssa.
Il punto essenziale infatti non è tanto quanto loro abbiano dato, ma ciò che si portano via.
In questi luoghi ogni gesto e ogni parola rappresentano una nuova piccola crepa nel muro di odio, paura e indifferenza che la mafia costruisce, allontanandoci gli uni gli altri, nascondendo i veri valori. Attraverso queste attività si mette in moto un meccanismo che è in grado di disgregare la mentalità mafiosa, già ascoltando le storie dietro i nomi ai quali sono dedicati questi luoghi: Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica di Torino, ucciso nell’83, aveva dedicato la sua vita alla verità e rispetto della legge; poi Rita Atria e Antonio Landieri. La prima giovane siciliana, morta suicida dopo la morte di Borsellino che l’aveva protetta e accolta dopo che Rita aveva cominciato a collaborare con la giustizia, denunciando la sua stessa famiglia; il secondo, napoletano, innocente ucciso da una sventagliata di colpi che, per Antonio, con disabilità agli arti inferiori, furono fatali.
Il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, previsto dalla L.109/96, fortemente voluta da Libera, è il momento cardine del sovvertimento dell’economia mafiosa. Trasforma i luoghi di “morte” in luoghi produttivi, che creano lavoro pulito e sicuro, che fanno girare l’economia con lealtà ed eticità, dimostrando che il modello di società vincente è quello che rifiuta la mafia. Coi fatti e, soprattutto, grazie a straordinari, comunissimi uomini, perché la mafia
«è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine».
[Giovanni Falcone]