Tra illegalità diffusa e cultura mafiosa: segni e segnali

Una maggiore attenzione al territorio è protagonista del secondo incontro tenutosi l’11 maggio presso Il Chiostro – Famiglia Studenti, organizzato dal Coordinamento provinciale di Libera Vco e dal Presidio Giorgio Ambrosoli e parte del percorso della Scuola di Politica del Centro Natale Menotti.
Ospiti della tavola rotonda erano Valerio Cattaneo, Presidente del Consiglio regionale, Maria José Fava, referente regionale di Libera Piemonte, Domenico Rossi, referente provinciale di Libera Novara, e Massimo Terzi, Presidente del Tribunale di Verbania.
A moderare la serata Andrea Dallapina, direttore di EcoRisveglio, che partendo dal ruolo della politica si è spostato a quello della società civile fino a chiedere il disegno della reale situazione criminale sul territorio.

di Carlotta Bartolucci e Greta Spanò

Ad avere la parola per primo è stato Valerio Cattaneo, che ha espresso il proprio appoggio e ringraziato l’impegno e il lavoro dell’associazione Libera, ma anche della prefettura e la magistratura, nel contrasto all’illegalità mafiosa. Ha raccontato della piattaforma L10 (dieci proposte avanzate dalla rete di Libera Piemonte nei confronti della Politica sui temi di etica, migranti, pubblica amministrazione e scuola) e del desiderio di raggiungere la massima trasparenza nelle operazioni politiche: per questo uno dei provvedimenti obbligatori dalla prossima legislatura sarà la pubblicazione dell’anagrafe degli eletti, accompagnata da curriculum vitae e informazioni economiche. Facendo notare come ormai la disoccupazione per i giovani o per le persone di mezza età stia sempre più aumentando, si è soffermato sul gioco d’azzardo, fenomeno di cui sono vittima 80.000 piemontesi su 80 milioni di cittadini che vivono in Piemonte. Ma soprattutto ha sottolineato la collaborazione fra Libera Piemonte e il consiglio regionale: tra i più esempi, è stata creata una commissione antimafia a Torino, inaugurata in occasione del 21 marzo e composta da 9 membri consiglieri, a rappresentanza delle forze politiche, e 10 soggetti esterni, come portavoce delle diverse realtà della società civile. Questo avvenimento rappresenta un passo fondamentale: la vigilanza contro l’illegalità deve essere massima e trasversale, a partire dalla politica, come ha ricordato Cattaneo, che ha fatto un appello a «maggior impegno affinché queste organizzazioni siano smantellate al più presto».
Ricollegandosi all’intervento di Cattaneo, Maria José Fava ha ripercorso le tappe fondamentali della presenza mafiosa nel territorio piemontese per sottolineare come le mafie siano radicate anche a livello regionale. Non si tratta di infiltrazioni, come spesso viene affermato erroneamente, ma di un potere che ormai è consolidato. I fatti parlano chiaro: un segnale è quando, nel 1983 a Torino, venne ucciso Bruno Caccia, procuratore della Repubblica di Torino. Da quel momento si è potuto confermare che il radicamento esiste, se pur “a macchia di leopardo”, essendo alcune zone fortemente colpite dalla criminalità e in maggior modo rispetto ad altre: oggi la ‘ndrangheta non si limita a controllare i traffici di droga e armi, ma stringe i rapporti persino con la politica regionale. Nel 1995 infatti venne sciolto il comune di Bardonecchia per infiltrazioni mafiose, il primo nel nord Italia, e dal 2011 vennero indagati e successivamente sciolti anche quelli di Bordighera e Ventimiglia, in Liguria, e di Leinì, in Piemonte, mentre sono tuttora commissariati i comuni di Rivarolo Canavese e Chivasso. Il fatto che il Piemonte abbia 150 beni confiscati e dei comuni sciolti per infiltrazioni è un esempio tangibile di come la mafia al nord non possa più essere sottovalutata.
Per questo motivo la società civile deve impegnarsi, perché, ricorda la referente regionale, «dobbiamo immaginarci il sistema mafie come un grosso acquario. Dentro ci sono tanti pesci, il pesce magari è proprio il mafioso; noi possiamo continuare a togliere i pesci ma la cosa fondamentale che è cambiare l’acqua. Perché, come dice don Ciotti, la forza delle mafie sta fuori dalle mafie».
A descrivere una situazione a livello locale è stato Domenico Rossi, che ha parlato del lavoro che l’Osservatorio provinciale sulle mafie di Libera Novara sta portando avanti: si occupa non di svolgere indagini, ma anzi di fare cultura e informazione seria e puntuale. L’obiettivo è far conoscere e tenere i riflettori puntati, accendendone di nuovi se necessario, sui piccoli fenomeni di illegalità sul territorio del novarese, i cosiddetti “reati spia”. Piccoli fenomeni che non destano attenzione perché appaiono casi isolati, ma che, con diligenza e cura, possono rivelarsi invece la punta dell’iceberg di grandi traffici illegali. Per questo Rossi ha raccontato come le mafie, ed in particolare la ‘ndrangheta, come scrisse in una lettera al “Corriere della Sera” il capo della Procura di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, si sono nascoste per anni nel cono d’ombra creato dall’informazione, che ne ha favorito l’affermazione e il processo di radicamento sul territorio: è dunque necessario «accendere le luci laddove c’è buio, come cerca di fare l’Osservatorio sulle mafie». Gli allarmanti risultati emersi dalle ultime operazioni hanno dato origine a un interrogativo: la mafia non si vede, nonostante tutti i controlli che vengono fatti, o non la si vuol vedere? «Credo che serva un rinnovamento delle leggi, che ormai risultano obsolete, ma soprattutto della mentalità – conclude Rossi -: quando creammo come Osservatorio e Avviso Pubblico la formazione gratuita per amministratori e dipendenti della pubblica amministrazione “Mafie al nord, corruzione ed ecomafie”, la partecipazione fu molto scarsa, quasi a voler dire di non averne bisogno».
Infine, è intervenuto Massimo Terzi che, da testimone diretto, ha fatto luce su due dei processi avvenuti nella provincia. Sostiene fossero due casi completamente diversi, nel corso della prima, operazione Betulla del 1993, emerse come fosse «palese la sussistenza di una cellula della ‘ndrangheta nell’Ossola e tutti furono condannati, tra cui il capo riconosciutissimo Domenico Cento»; mentre il secondo caso era più «un fatto culturale; e ovviamente non si condannano le persone per un fatto culturale». E, contestualizza, «come Vco, magari non andando oltre Omegna, dove non voglio sbilanciarmi, un fenomeno di colonizzazione mafiosa non possiamo dire che ci sia». Più problematica è, secondo Terzi, la questione sul gioco d’azzardo, perché, come tutto quello che si paga in contanti anticipatamente è il canale privilegiato per il canale privilegiato per il riciclaggio di denaro. In questo campo infatti, la popolazione dovrebbe saper ritrovare dei valori opposti a quelli della mafia, per creare un anticorpo efficace e sconfiggere così le mafie.
Tra gli interventi nel pubblico, quello del Prefetto del Vco Francesco Russo. Pensa sia necessario continuare ad allarmare i cittadini per tenere alta la fiamma dell’indignazione: per questo è fondamentale che il popolo italiano si senta parte integrante di una società che collabori insieme e continui a essere partecipativa, per instaurare nuovamente fiducia anche ai settori più vulnerabili del lavoro e della giustizia.

Quali sono i fenomeni criminali che interessano la provincia del Vco? Quali impegni deve assumersi la politica per contrastarli? E quali la società civile?
Segue l’intervista ai relatori dell’incontro.

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