«Ne avete uno anche a Verbania? – Si, ne abbiamo avuto uno anche a Verbania. – Già preso? – Si, già preso. – Ma chi è, quello là? – Si è lui. Bruno, Pizzi Bruno. Di Domodossola, in provincia di Verbania». È il dialogo avvenuto durante la conferenza stampa del 13 gennaio 2010 a Reggio Calabria dopo il blitz notturno condotto dall’Arma dei Carabinieri che ha portato all’emissione di 27 ordinanze di custodia cautelare.
La mattina seguente davanti alla stazione dei carabinieri di Melito Porto Salvo una decina di macchine scortate dal doppio dei carabinieri si prepara con i lampeggianti accesi. Gli arrestati vengono scortati all’esterno della caserma: c’è chi non si guarda intorno e si lascia trasportare, chi abbassa lo sguardo, chi sorride e saluta gli spettatori, chi guarda nell’obiettivo senza emozioni.
Sono gli affiliati dei clan Zavettieri e Pangallo-Maesano-Favasulli, composti “da antiche famiglie d’èlite attive nel territorio di Roccaforte del Greco che, accantonate le rivalità passate, si sono unite in nome della necessità di fare affari insieme”. Attraverso il controllo del territorio, l’acquisto di appalti pubblici, lo sfruttamento delle risorse economiche del territorio, le estorsioni, il traffico di stupefacenti e l’importazione di armi dalla Svizzera. Le indagini hanno anche condotto al ritrovamento di un poligono di tiro artigianale, dove la presenza di bossoli ne ha confermato l’utilizzo.
Gli elementi raccolti in sei anni di lavoro hanno permesso di individuare collegamenti del clan con l’Ossola e la Svizzera per il traffico d’armi, oltre che di stupefacenti. Ed è per questo capo di imputazione che, nel processo con rito abbreviato dell’8 giugno 2011, Bruno Pizzi (cl.1963) è stato condannato a 3 anni e 4 mesi più il pagamento di € 300 di multa. Le accuse di associazione di tipo mafioso e di favoreggiamento che avevano portato al suo arresto sono cadute, così come la proposta di condanna a 9 anni e al pagamento di € 30’000 di multa emessa dal Pm Antonio de Bernardo. Calabrese residente a Domodossola, è proprietario dell’omonima impresa edile impegnata anche nell’ambito dei lavori pubblici e all’epoca dei fatti amministratore unico della Frantossola Srl. Questa, inaugurata nel 2007, è un impianto di smaltimento di materiale inerte autorizzato dalla provincia.
Il suo nome figura tra gli implicati nell’operazione “Asso” che nel 1999 in Ossola aveva portato all’arresto di decine di persone con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso. Secondo la polizia e i carabinieri, l’organizzazione stava prendendo il controllo del territorio, occupandosi di traffico di droga e armi, estorsioni e acquisto degli appalti. Alcune generalità erano le stesse dell’operazione precedente, denominata “Betulla”, e le istituzioni hanno riscontrato la capacità di autorigenerazione dell’organizzazione criminale. Ciò nonostante i soggetti coinvolti furono assolti dal Tribunale di Verbania a conclusione del processo di primo grado. Tra i pochi condannati, Bruno Pizzi, con pena ridotta nel 2003 dalla Corte di Appello di Torino a 1 anno e 2 mesi per detenzione e porto illegale di armi da sparo.
Nomi noti anche quelli di Francesco Ferraro, 46, e Luigi Leone Iofrida, 46, accusati a seguito delle indagini dell’operazione “Asso” di essere rispettivamente il capo dell’organizzazione e un latitante dedito al narcotraffico internazionale. Imputati anche dell’operazione “Nuovo potere”, difesi dall’avvocato Antonino Curatola di Melito Porto Salvo, sono stati assolti con sentenza dell’8 giugno 2011; a fine aprile il Pm Antonio de Bernardo propose per loro la condanna a otto anni di detenzione ciascuno.
Inaspettato risultato considerato che il Gup di Reggio Calabria, Antonino Laganà, ha avvalorato quasi completamente le accuse dell’Ufficio di Procura, emettendo condanne per i due terzi delle persone implicate nel procedimento.