Anni ’90: i Graviano nel Vco

Dialogo con il giornalista Vincenzo Amato

Tratto dall’Osservatorio di Libera Novara

di Giulia Rodari

«Non uccise il giudice Borsellino. Era nella mia gelateria a Omegna» è il titolo dell’articolo che, uscito il 19 aprile su La Stampa Vco, raccoglie le parole di Salvatore Baiardo, palermitano per anni residente a Omegna.
Baiardo introduce nuovi elementi riguardo la presenza dei Graviano al nord, a Omegna, in particolare riguardo la strage in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice e la sua scorta, rivalutando il ruolo di Giuseppe Graviano, pluripregiudicato di Cosa Nostra recentemente accusato di aver anche fatto esplodere la bomba. E lo fa dalla posizione di amico, creandogli un alibi. Sostiene che, quel tragico giorno, Graviano fosse con lui, nella sua gelateria di Omegna, e che, appresa la notizia, si sarebbero diretti verso casa per vedere il telegiornale. Un posto di blocco lungo la strada sarebbe una prova della veridicità delle sue dichiarazioni.

Il pezzo è firmato da Vincenzo Amato, giornalista scelto da Baiardo in quanto suo conoscente, per rilasciargli le sue dichiarazioni e consegnargli un memoriale di quattro pagine dove ripercorre la permanenza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano nel Vco.
Questa conoscenza porta Amato ad acquisire una posizione diversa dal giornalista, a divenire una chiave di comprensione della vicenda e dei suoi personaggi, a spostarsi “dall’altra parte della telecamera” per ricoprire il ruolo del “testimone”.

Salvatore Baiardo, vita pubblica e guai giudiziari.
«La mia personale impressione su Salvatore Baiardo è, al di là delle vicende accertate, questa: che lui “venda” un po’ di fumo (la vicenda di cui sopra, ndr) per cercare di ritagliarsi un qualche spazio. Non mi sembra del tutto credibile. Lui effettivamente è stato arrestato e si è fatto in carcere dal ’95 al ’99…effettivamente per questi rapporti con i Graviano. È anche noto alle forze dell’ordine locali perché ha avuto una serie di, diciamo…di vicende, di guai giudiziari; tra l’altro per piccole truffe anche da mille euro, da cifre di questo genere. L’ultima è stata di qualche mese fa». E poi, c’è la più recente e giudiziariamente interessante operazione Biancaneve, da cui il 1° maggio emerge che «questi qui si spacciavano come procuratori di una questa grossa società londinese, prendevano degli immobili e poi davano in cambio soldi in realtà falsi».
Baiardo aveva la gelateria Pastore e, anni fa, «A Omegna era consigliere comunale; suo papà è stato anche assessore…era capostazione. Salvatore è arrivato a Omegna con lui, da Palermo». Un giorno Baiardo chiamò Amato, gli chiese se sarebbe passato «qualche volta da Castano Primo. Ha residenza a Lesa, – specifica – ma è domiciliato presso Castano Primo». L’appuntamento perché «Voleva scrivessi un articolo non troppo, diciamo, scandalistico, perché ci sono ancora due figlie che vivono in zona e “allora sai non vorrei un titolo sparato” era quello che mi ha raccontato lui». Continua, «Secondo me lui l’ha fatto perché cercava già un minimo di spazio e visibilità perché poi con me m’ha detto che aveva appuntamento a Palermo con quelli de L’Espresso, so che doveva andare a Matrix, che doveva fare cose…non ci credo… Secondo me, diciamo, ha buttato una specie di esca; anche nei confronti della stessa magistratura, magari. Su La Stampa più di tanto non gli abbiamo dato spazio perché non volevamo neanche prestarci, penso io al ragionamento che può aver fatto il giornale, al gioco di questo qui che cercava un suo spazio».

Amicizia e sostegno, i rapporti con Giuseppe Graviano.
«Io gli ho chiesto “Come hai conosciuto i Graviano” e lui mi dice “No perché, sai, mia moglie…è parente, cugina, del Tranchina”, che era appunto l’autista, l’uomo di fiducia dei Graviano (arrestato, cominciò a collaborare riguardo la strage di via d’Amelio. Poi definito “pentito per un giorno” perché ritrattò e smise di raccontare, ndr)».
Questo legame di parentela acquisito sarebbe il motivo del contatto tra Baiardo e i Graviano, oltre al fatto che «Probabilmente, questo, negli anni ’90, era un posto tranquillo, di vacanza».
«Da quel che ho capito io, e da un minimo di verifiche che ho potuto fare, effettivamente il Graviano è rimasto ad Omegna sul lungolago in questo appartamento sotto l’attuale Supermercato Savoini che un tempo ospitava la Coop. All’inizio il Graviano, credo lui e anche il fratello, hanno abitato a casa del Baiardo e non gli andava bene. Ci sono stati dei passaggi…in questi passaggi poi ha fatto anche ristrutturare un’abitazione ad Omegna che non gli piaceva neanche quella. Si, lui ha cambiato diversi…non so se questi appartamenti erano intestati al Graviano o se li ha presi solamente in affitto il Baiardo».
Inoltre, per Giuseppe, «Il Baiardo aveva aperto questo conto corrente da 70 milioni di lire». Depositati presso un istituto bancario di Omegna, i soldi venivano portati da Fabio Tranchina nella gelateria di Baiardo.
«La mia impressione è che lui sia stato sicuramente una pedina utilizzata dai Graviano. Perché lui mi raccontava che per i Graviano ha affittato delle case; non so se in Emilia Romagna, al mare, dove questi andavano per le vacanze, insomma».
Qualche mese fa il nome di Baiardo comparve legato a un altro processo che vede imputato Giuseppe Graviano: l’omicidio di Giuseppe di Matteo, sciolto nell’acido nel 1996 perché figlio del pentito Santino. «Sulla vicenda del bambino lui ha detto di non c’entrare nulla. Ha detto che completamente non ne sapeva nulla. Se non ho capito male, facendo anche delle verifiche su internet, i Graviano hanno chiesto la sua testimonianza ma il giudice non l’ha neanche accolta».

Quel 19 luglio 1992.
Baiardo sostiene che «il giorno in cui avrebbe fatto esplodere la bomba, l’autobomba, in via d’Amelio, Graviano era ad Omegna, era in gelateria con lui e, quando hanno saputo la notizia, sono andati subito a casa per vedere il telegiornale e per strada li ha fermati questo poliziotto di Omegna. Allora io, nell’articolo, non avendo potuto fare delle verifiche, non ho messo i nomi delle persone che lui tira in ballo. Lui mette il nome e cognome di un poliziotto che l’ha fermato, che lo conosceva; al quale lui chiaramente non ha avuto necessità di dire le sue generalità…e ha dato un nome falso del Giuseppe Graviano. Cioè, lui quando l’ha fermato…si saranno salutati e lui avrà detto “bene, Salvatore Baiardo, piacere”, “E il signore che è con lei, Baiardo, come si chiama?”. Ha risposto dandogli il nome di una persona che effettivamente ad Omegna c’è, esiste (come scritto nell’articolo de La Stampa le iniziali sono F.M., ndr). Non gli ha chiesto i documenti…un documento, la carta d’identità. Conoscendolo, li ha lasciati andare».
Ma per quale motivo arriverebbero ora le sue dichiarazioni? «Lui giustamente dice “lo dico adesso perché è adesso che il Graviano è implicato nella strage di via d’Amelio, non cinque anni fa”». È infatti recente l’arresto di Fabio Tranchina, avvenuto per qualche imprevista coincidenza proprio il 19 aprile 2011, e le sue conseguenti dichiarazioni, considerate attendibili dai magistrati. Poi, «A quanto diceva il Baiardo, ovviamente, lo fa per amore della verità. Dice, “la posizione dei Graviano non cambia perché un ergastolo in più o in meno non gli cambia nulla”. Vero, non cambia nulla a loro; cambia la storia però. Forse ne hanno sei di ergastoli, addirittura…sei ergastoli, però cambia la storia. La strage di Borsellino ha cambiato la storia dell’Italia, c’è stata una svolta nel Paese».

Oggi, giochi di (in)congruenze.
«Cosa dice il Baiardo… “Il poliziotto dovrebbe ricordarsi il volto della persona che era con me e poter testimoniare che potrebbe essere questo Giuseppe Graviano”». E Amato precisa, «Le vicende del Graviano sono diventate di dominio pubblico parecchi anni dopo… Per cui sono queste cose molto difficili da verificare. Ma questo (il poliziotto, ndr) non c’è più perché è un episodio di vent’anni fa…e, sai, vent’anni dopo, il poliziotto per ricordarsi una roba del genere deve avere una gran memoria fotografica. Su questo bisognerebbe capire se c’è ancora qualche verbale, qualche documento che, dopo vent’anni, ti dice quel giorno chi è stato fermato. Io credo, una mia personale supposizione, che in polizia potrebbero andare a controllare, a fare una verifica perché io credo che i registri loro li hanno sempre». Anche se, d’altra parte, ci ripensa e teme «sia un po’ dura, quel giorno avranno fermato 50 macchine. Oggi ci sono i computer, vent’anni fa non c’erano i sistemi informatizzati di oggi. Non credo la questura tenga lì quintali i carta».
Per dare conferma della presenza dei Graviano a Omegna, «Il Baiardo in questo documento che lui ha scritto fa anche i nomi dei muratori che hanno lavorato alla ristrutturazione di questa casa, di questo edificio. Ma come fa uno a ricordarsi se vent’anni fa, ristrutturando una casa, c’era quella persona o no».
«Ti ripeto – avanza, schiettamente – è un personaggio un po’ ambiguo lui, un po’ strano, un po’ particolare». Chiarisce l’idea, riferendo un episodio, «A me ha dato il numero di telefono di un avvocato; quando gli ho telefonato è cascato dalle nuvole, ha detto “Ma come gli è venuto in mente. Io questo Salvatore Baiardo si è vero l’ho visto una volta, ha detto che si sarebbe fatto sentire. Poi non l’ho sentito più”. E sarebbe dovuto essere il suo…il suo avvocato». D’altra parte, però, ci sono elementi veritieri, «Nel senso che appunto dice che il Graviano è rimasto per parecchio tempo, praticamente un anno. E questi tempi qui, secondo me, corrispondono, da quel che ho capito con…gli atti della magistratura».
Quindi, «Lui gioca secondo me su questo, perché le altre cose che ha detto sono già in qualche modo risapute, cioè il periodo che è rimasto ad Omegna e questo credo sia tutto già verificato. Anche se forse non di dominio pubblico…».

Baiardo sta forse giocando con i nodi più saldi della storia nazionale, tra le pieghe d’ombra dei fatti comprovati, nell’incomprensibile tentativo di stringerli o allentarli.

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