Dal 10 al 14 maggio, a Torino, l’appuntamento con il Salone internazionale del Libro non delude. Quest’anno, tra il Lingotto e le sedi del “Salone off”, molti incontri sono stati dedicati ai temi della criminalità organizzata, in occasione della triste ricorrenza del ventennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio. In particolare alcuni incontri, organizzati con il Circolo dei Lettori e il Festival Trame, hanno avuto come tema centrale quello della memoria di alcuni servitori dello Stato che hanno pagato con la vita il loro impegno, quali Paolo Borsellino, Francesca Morvillo, Carlo Alberto dalla Chiesa, Pio La Torre ed altri ancora. Una memoria molto cara a Libera, che si fonda proprio su questo pilastro, accompagnato dall’impegno quotidiano dei cittadini.
Una società civile responsabile
«A questo tavolo siede l’intera “filiera dell’antimafia”: l’emozione è grande». Lirio Abbate, moderatore dell’incontro con Franco La Torre, Virginio Rognoni e Luigi Ciotti, accoglie così la platea del Circolo dei Lettori. Nessun equivoco, la frase è chiara: Franco, figlio di quel Pio La Torre ucciso il 30 aprile 1972 dalla criminalità organizzata, rappresenta l’idea innovativa per combattere la mafia; Virginio Rognoni, l’allora Ministro degli Interni, è la forza dello Stato; Luigi Ciotti, presidente di Libera, è la voce della società civile.
Durante l’incontro si ripercorre la storia della legislazione antimafia: dell’inserimento del 41 bis, il cosiddetto “carcere duro” della Legge Martelli, al 416-bis, che inserisce “l’associazione a delinquere di stampo mafioso” (proprio con la Legge Rognoni-La Torre), fino alla legge 109/96, che sancisce il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi, i passi compiuti sono stati tanti. Piccoli, e spesso sporchi del sangue di uomini fedeli allo Stato. Spesso i passi sono stati fatti addirittura all’indietro, come sta accadendo – secondo Luigi Ciotti – con l’attuale Codice Antimafia, ma non c’è da arrendersi.
La figura di Pio La Torre viene dipinta dai relatori sotto diversi punti di vista: sindacalista e uomo di partito, si batté per far valere due idee fortemente innovative in favore del contrasto alla criminalità organizzata. Innanzitutto egli riteneva che fosse necessario introdurre un reato specifico, che sarebbe poi stato nominato “associazione a delinquere di stampo mafioso”. Inoltre, il giovane La Torre era convinto della necessità del sequestro di beni e patrimoni ai mafiosi. Se togli loro “la roba”, per usare una terminologia verghiana, il loro potere si affievolisce. Purtroppo, come in Italia accade troppo spesso, l’accelerazione dell’iter legislativo avvenne solo dopo la morte di La Torre. E sarà soltanto molti anni dopo che qualcuno alzerà la testa per chiedere non solo il sequestro e la confisca dei beni, ma anche il loro riutilizzo sociale: ci vorranno un milione di firme raccolte da Libera per far approvare una legge in Parlamento, e questo ancora non ci mette al riparo dalla possibilità della vendita giudiziale di questi beni, che molti oggi richiedono a gran voce.
Le problematiche restano infatti molte: un esempio su tutti è quello delle ipoteche bancarie che gravano su circa la metà dei beni al vaglio dell’Agenzia Nazionale. Queste ipoteche bloccano il riutilizzo perché né i comuni né le cooperative sono in grado di estinguere i debiti: le banche, per un ammontare di circa 600 milioni di euro di ipoteche, ne chiedono più o meno altri 300 milioni di interessi. Ciotti si chiede, e la domanda sembra rivolgersi a tutti noi: «ma queste banche dov’erano quando hanno concesso un mutuo a Totò Riina?« Ecco perché non sempre le cooperative che nascono e scelgono il marchio di “Libera Terra” fanno una fatica immensa a mantenersi vive. Ma un messaggio positivo c’è: Giorgio Napolitano ha accolto con gioia la proposta di Luigi Ciotti di utilizzare i prodotti di “Libera Terra” durante il rinfresco al Quirinale in occasione della Festa della Repubblica. I passi, si diceva, sono piccoli. Ma ci sono, nonostante tutto.
Carlo Alberto dalla Chiesa
«Dalla Chiesa ce l’ha insegnato, fuori la mafia dallo Stato». Lo slogan, urlato per le vie della città dove spadroneggiavano i Cutolo, in tempi in cui la parola “mafia” non si pronunciava, in un momento storico in cui la criminalità mieteva vittime in continuazione ed aveva appena ucciso il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, risuona nelle orecchie come un monito. Nando dalla Chiesa, figlio del generale ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982 assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’uomo della scorta Domenico Russo, vuole ricordare suo padre all’incontro a lui dedicato al Salone del Libro proprio con questo slogan. Perché lo ritiene un evento straordinario: «allora, come oggi, quanti giovani si sognerebbero di inneggiare ad un generale dei carabinieri?». Questo, indubbiamente, mostra il valore di un generale che passò la vita a combattere il terrorismo, e che visse i suoi ultimi cento giorni a Palermo, per essere al servizio dello Stato anche nella lotta alla criminalità organizzata.
Durante il suo percorso lavorativo Dalla Chiesa incrociò quello dell’attuale Procuratore di Torino, Giancarlo Caselli. Il quale lo ricorda con affetto, riconoscendogli intuizioni geniali: Dalla Chiesa aveva capito, ad esempio, che per combattere le Brigate Rosse era necessaria un’indagine catastale approfondita; sapeva che era fondamentale andare nelle scuole, rivolgersi alla società civile, risvegliare gli animi mantenendo come fari guida la Costituzione e il Codice Civile; sapeva che “la mafia” a quei tempi non si poteva dire, ma lui la urlò nella piazza di Corleone. I suoi pensieri erano sempre più ampi di quello che il suo lavoro gli imponeva.
Certo, il ragionamento sulle conseguenze di un omicidio di mafia è molto complesso, soprattutto se visto dal punto di vista dei famigliari delle vittime. La morte di Carlo Alberto dalla Chiesa portò all’approvazione della Legge Rognoni-La Torre, ma inflisse un duro colpo allo Stato. L’Italia è da sempre un Paese magistrale nell’attendere una vittima per accelerare iter legislativi necessari a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata, e ancora una volta si dimostrò incapace di agire preventivamente. Nando dalla Chiesa prova a dirci il perché, con le parole del padre: «finchè una tessera di partito conterà di più dello Stato, non riusciremo mai a sconfiggere la mafia».
Bellissimo articolo, ampio e coraggioso.