da sinistra Caselli, Sabella e Mattiello – foto di Alessandro Regini
di Rachele Dalla Savina

Il 28 luglio i trecento ragazzi del Terzo Raduno Nazionale dei Giovani di Libera hanno ascoltato l’intervento dei magistrati Alfonso Sabella e Gian Carlo Caselli, pronti a illustrare le dinamiche che hanno portato Cosa Nostra a compiere le stragi del ’92. Entrambi i magistrati hanno fatto parte del pool antimafia di Palermo, Caselli come Procuratore nazionale e Sabella come suo procuratore sostituto. Insieme hanno voluto ricordare i due punti cruciali per la lotta a Cosa Nostra: la conferma delle condanne del maxiprocesso nel gennaio 1992 e il lavoro bel svolto dal pool antimafia, i cui protagonisti furono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono proprio queste due ancore per lo Stato italiano che scatenarono le reazioni da parte della mafia siciliana che sfoceranno nell’omicidio del parlamentare Salvo Lima e nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio; il primo attentato, avvenuto il 12 marzo 1992, certifica non solo l’esistenza vera e propria di Cosa Nostra (fino a quel momento messa costantemente in dubbio), ma anche di un raccordo tra Stato e Mafia di cui Lima ne era mediatore.

Il maxiprocesso, ideato dal giudice Antonino Caponnetto, vide alla sbarra dell’aula bunker di Palermo 475 imputati di cui 360 vennero condannati a spartire in totale 2665 anni di carcere mentre 19 boss vennero condannati all’ergastolo. Queste sentenze furono un duro colpo per Cosa Nostra che non sembrava più invincibile come qualche anno prima e che, in risposta, reagì con l’omicidio del loro traditore: Salvo Lima, appunto. Purtroppo quello del parlamentare democristiano non fu un caso isolato, anche altri personaggi politici di spicco contribuirono a portare avanti la trattativa Stato-Mafia e si identificano nel senatore Giulio Andreotti, più volte ministro e Presidente del Consiglio, e Marcello Dell’Utri. Il primo, processato per reato di partecipazione ad associazione mafiosa fino al 1980, mentre il secondo, processato per concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1978.

Il magistrato Caselli ha ripetuto più volte, durante il suo intervento, che non è possibile continuare a delegare problemi prettamente politici alla magistratura. Nella storia del nostro Paese questo errore è stato commesso più volte, non solo per quanto riguarda le problematiche derivate dalla criminalità organizzata, ma anche, ad esempio, in materia di corruzione e di sicurezza sul lavoro.

La malapolitica presente nel nostro paese, come abbiamo potuto vedere, si insidia all’interno delle istituzioni ma si rafforza sempre di più con l’indifferenza della società civile, che dovrebbe andare oltre le informazioni rese pubbliche dai media. Compito della società sarebbe informarsi per conto proprio e dunque indignarsi di fronte, ad esempio, agli attacchi contro il Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che, per permettere il buon funzionamento della procura, si trasferirà in Guatemala per dirigere un’unità investigativa per la lotta al narcotraffico indetta dall’ONU.

Si conclude così un’altra mattinata ricca di riflessioni che ognuno di noi porta dentro di sé come un bel ricordo, non solo per aver conosciuto personaggi importanti per la storia della lotta alla criminalità organizzata, ma anche per gli spunti di riflessione che queste persone hanno scatenato nel nostro animo. Ora che abbiamo acquisito un po’ di formazione e consapevolezza in più, abbiamo gli strumenti per poter fare una volta di più rete: informare e rimanere informati, perché appunto la mafia non si combatte solo in procura, la mafia la combattiamo ogni giorno, nel nostro piccolo.

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