Pino Masciari, «quello che voglio è essere libero»

immagine tratta dal sito pinomasciari.it
di Valentina Aiello e Silvia De Medici

Quella di Giuseppe Masciari, per gli amici Pino, è una storia di resistenza, che sembrerà paradossale ai giorni d’oggi. Racconta la storia di un popolo oppresso da aguzzini che vogliono imprimere la loro legge tramite paura, armi e violenza. Ma questi aguzzini non sono comuni persecutori: appartengono alla ‘ndrangheta, la più potente società criminale al mondo. E di fronte a loro uno non ha molta scelta: o accetta, piegando la testa, voltandosi dall’altra parte, tacendo, pagando il racket, perdendo la propria dignità, o si rifiuta, facendo valere i principi di legalità, di giustizia, di libertà, di uomo onesto. Ma questa persona può farcela solo se alle sue spalle c’è un sostegno. Di uno Stato, ad esempio. Perché chi rimane solo, isolato, diviene una facile preda di fronte ad un esercito così potente.

La storia di Pino inizia nella calda Calabria. Il suo sogno era quello di fare l’imprenditore nel settore dell’edile pubblico. La sua società cresce, da lavoro a più di 200 famiglie, apre addirittura cantieri all’estero. Ma nel suo crescere e prosperare viene osservato da vicino, in silenzio, da certi signori. Quegli stessi signori che un giorno si presentano alla sua azienda e chiedono, come se fosse la cosa più naturale del mondo, il “3% per lavorare”. Addirittura una certa politica, corrotta, pretendeva il 6%.
«No, io i soldi non ve li do, pago le tasse e rispetto le regole» dice Pino. Questa scelta comporterà la sua morte civile. Essa inizierà con telefonate minatorie, furti, incendi dolosi, colpi di fucile sui cantieri, minacce con armi in pugno ai dipendenti. Fino a che spareranno a suo fratello. Ma lui non si arrende, non ci sta, e nel 1994 arriva a licenziare tutti i suoi dipendenti e chiudere l’azienda, pur di non sottostare a “quelle” regole.

E lo Stato? Che cosa faceva lo Stato davanti al grido di aiuto della famiglia Masciari? Niente. Solo quando la situazione si fa troppo grave per essere ignorata lo Stato dichiara a Pino che non è in grado di proteggere né lui né la sua famiglia, che a questo punto sono costretti a fuggire di notte, come ladri, nell’ottobre 1997. È cominciato il programma di protezione per i testimoni di giustizia. I figli di Pino e Marisa Masciari da quel giorno non vedranno più i loro nonni, zii e cugini, vivranno per più di quindici anni soli, completamente isolati e privi di un’identità. «I miei figli non sanno correre» dice con un sorriso. Tutto questo perché i loro genitori hanno scelto una cosa bella, onesta, giusta.

Oggi Pino vive una vita, per quanto possibile, normale, pur essendo sotto scorta continua, con l’impossibilità di tornare nella sua terra. Ma non è più solo: è nato un blog degli “Amici di Pino Masciari”, gli “amici” intesi come tutte quelle persone che, senza rappresentare delle istituzioni, senza essere dei volti particolarmente noti, hanno preso a cuore la sua storia, lo supportano, lo vanno a trovare a casa, condividono la sua speranza.

Il 16 febbraio, davanti agli studenti dell’istituto L. Cobianchi di Verbania, su invito del presidio di Libera Verbania “Giorgio Ambrosoli”, Pino ha raccontato la sua storia. Una storia fatta di sofferenze e privazioni, che ha raccontato, però, con una grande certezza negli occhi e nel cuore: questa società può farcela a sconfiggere il sistema mafioso. E per farlo bisogna puntare sui giovani. Giovani che forse non sempre rispettano, che sbagliano ma che possono cambiare le cose. Queste parole rimarranno impresse a lungo nei ragazzi che l’hanno ascoltato: «La vita è vostra. Voi dovete sapere quello che volete dalla vita. Io so quello che voglio: voglio essere libero. Non sono più libero di costruire edifici. Ma posso smuovere coscienze e quello è forse più importante. Perché ricordate che delinquente non è solo chi spara, solo chi preme il grilletto. Delinquente è anche chi vede e volta la testa dall’altra parte».

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