Essere “giornalisti giornalisti”

tratta dal sito di novara.liberapiemonte.it
di Carlotta Bartolucci e Giulia Rodari

Il 23 settembre 1985, a Napoli, moriva un giovane cronista di 26 anni. Fin dai primi anni di giornalismo aveva mostrato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell’emarginazione, individuando in quelle il principale serbatoio della manovalanza della criminalità organizzata. Non ci mise molto a scoprire gli intrecci fra camorra e politica locale, accordi che si spartivano il bottino del post-terremoto dell’Irpinia. Lui faceva solo il suo dovere: scriveva la verità, affinché tutti sapessero. Ed è proprio per questo che una sera a bordo città venne ucciso nella sua macchina a colpi di pistola. Si chiamava Giancarlo Siani e lui sì, era un vero giornalista.

È in suo ricordo che venerdì 28 settembre nel Liceo Bellini di Novara si è tenuto un seminario dal titolo “Giornalisti giornalisti: il ruolo del giornalismo locale nel contrasto alle mafie”, diviso in due momenti. Un’introduzione all’argomento da parte dei due giornalisti professionisti Santo Della Volpe, direttore di LiberaInformazione e caporedattore del TG3, e Marika Demaria, del periodico d’inchiesta e approfondimento Narcomafie, e uno spazio di confronto tra i direttori delle testate novaresi.
Demaria e Della Volpe si sono ritrovati a riflettere sulla difficoltà di essere “giornalisti giornalisti” al giorno d’oggi. Entrambi hanno concordato che per fare bene il proprio lavoro «non serve un naso da investigatore, ma buona capacità di contestualizzazione» al fine di capire non il singolo evento, ma il quadro nel quale avvengono i fatti e dunque, il perché. L’informazione va fatta in loco, solo così si può comprendere. Riguardo ai cambiamenti del giornalismo dai tempi di Siani ai nostri Demaria ha ammesso: «Rimane un costante negazionismo e una superficialità nel seguire le notizie; come per le udienze del processo Lea Garofalo, alle quali i giornalisti sono stati presenti solo la prima e ultima udienza». Infine Della Volpe ha sottolineato: «Manca solidarietà, ma è necessario perseverare e raccontare la verità, per dare i mezzi ai giovani per conoscere e sviluppare senso critico. Per questo il giornalismo è vitale».

tratta da novara.liberapiemonte.it

Il momento di confronto seguito tra Attilio Barlassina (Tribuna Novarese), Antonio Maio (L’Azione), Paolo Viviani (Il Corriere di Novara) e Carlo Bologna (La Stampa – Novara e VCO) è stato partecipato e ricco di criticità, sia da parte del pubblico sia dagli ospiti tutti dell’incontro.
Da Carlo Bologna è giunto il consiglio di leggere sempre più voci di diversi giornali, con quella sana diffidenza tipica del senso critico, ricordando poi come «La Stampa ha sempre dedicato grande attenzione a questo fenomeno», costruendosi con il contributo di chi abita la città. Paolo Viviani ha sostenuto che l’oggettività dell’informazione non esista, «è impossibile paragonare un articolo a una fotografia»: risulta importante però «sapere da che punto si scrive», chi si muove dietro le quinte di ogni testata.
Secondo Antonio Maio, invece «La colpa del giornalismo è che spesso si cerca troppo il sensazionalismo: è necessaria piuttosto un’informazione precisa e costante». Un’informazione che adempia al compito di «raccontare che comunque la mafia non è una cosa che riguarda solo la Sicilia, la Calabria». Attilio Barlassina ha chiesto come si fa a sapere chi è “giornalista giornalista”, «spesso chi va sul posto sono i poveri ragazzi che sperano di diventare giornalisti, quasi giornalisti».
Tra i vari temi, il controverso “giornalismo militante”. Della Volpe ha sostenuto che tale stato comporterebbe un preconcetto nei confronti dei fatti; posizione supportata da Barlassina secondo cui un giornale «non ha intento pedagogico». Pare, quindi, prevalere l’opinione per cui la militanza debba essere a favore del giornalismo libero, non della conferma di un fatto.

Al termine, emerge una ferma consapevolezza sulla condizione del “giornalista giornalista”: una condizione precaria economicamente, spesso denigrata e soprattutto rischiosa, quando si vanno a svelare quelle reti di interessi nascoste che è, però, necessario far emergere. È un mestiere che richiede impegno, coraggio. È un compito che vale la pena di essere affrontato? Giancarlo Siani, nonostante tutto, non aveva dubbi.

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